La trasmissione di costrutti, di modalità relazionali, di stili di attaccamento e di emozioni. Si può parlare così di eredità psicologica trasmessa ai figli. Le somiglianze psicologiche e relazionali che i figli condividono con i genitori e gli avi, per quanto poco visibili, sono altrettanto potenti e significative di quelle somatiche. La coppia è formata da due individui distinti che, entrando in relazione intima, portano con sé ciascuno la propria “eredità” emotiva acquisita nella propria famiglia d’origine, eventuali conflitti, ferite e nodi irrisolti legati a quest’ultima, un determinato livello di consapevolezza e di maturazione emotiva. Quando una coppia portatrice di una importante quantità di eredità emotiva problematica si riproduce, quasi sempre (e quasi sempre inconsapevolmente) finisce per rivivere le proprie ferite ed i propri conflitti irrisolti nella relazione con i figli. Il neogenitore rivive inconsciamente la propria infanzia, assieme a tutto ciò che con essa ha introiettato delle proprie figure genitoriali, ed, attraverso un meccanismo difensivo (difensivo in quanto serve per difendersi dall’inevitabile dolore che tale vissuto creerebbe) che in psicologia chiamiamo “proiezione”, proietta i propri bisogni sui figli. Si crea, in questo modo, una profonda ed inconsapevole confusione tra bisogni dei figli e bisogni infantili del genitori. Ogni bambino, in quanto individuo a sé stante, possiede dei propri bisogni (primariamente di protezione, rassicurazione, nutrimento emotivo, accoglienza) e si aspetta che il genitore vi risponda in modo adeguato. Quando nel genitore è in atto una confusione tra i propri bisogni infantili insoddisfatti e quelli del proprio figlio, il genitore non è in grado di rispondere adeguatamente al bisogno espresso dal figlio, finendo per ignorarlo o per rispondervi in modo inadeguato. 

Allo stesso tempo potrà intravedere nel figlio bisogni che costui non ha, ma che rispecchiano i propri bisogni insoddisfatti da bambino e si affannerà per rispondere a quest’ultimi, dando al proprio figlio un nutrimento non richiesto. Spesso questi genitori si comportano in modo infantile con i propri figli, chiedono loro abbracci o baci in modo a volte anche molto insistente. Non si deve mai dimenticare che spetta al genitore adeguarsi ai bisogni dei figli e non viceversa. Se un bimbo sente che i propri bisogni sono adeguatamente soddisfatti, sviluppa la fiducia in sé e si sente amato. Quando un bimbo non si sente amato, non attribuisce mai la mancanza d’amore ad un problema o difficoltà del genitore ma a se stesso: si sente in colpa per aver fatto qualcosa che ha portato il genitore ad allontanarsi da lui, si sente inadeguato e non degno di essere amato. Farà, dunque, di tutto pur di riconquistare l’amore del genitore, arriverà a negare persino le proprie emozioni, tenderà ad adeguarsi ad ogni genere di richiesta genitoriale: mendicherà l’amore annullando se stesso, nella speranza di essere riconosciuto. Dopo alcuni anni, smetteranno di richiedere e mendicare e si costruiranno una corazza difensiva, anestetizzandosi emotivamente, nell’ambizioso tentativo di non provare più il dolore del rifiuto.

Questi bambini, da adulti, cercheranno l’amore come si cerca l’acqua nel deserto, si aspetteranno che i loro bisogni inascoltati da bambini vengano ora soddisfatti dal partner, continuamente e costantemente. Quando diventeranno padri/madri, verosimilmente si aspetteranno che siano anche (o solo) i propri figli ad appagare quegli antichi bisogni, in una catena intergenerazionale che soltanto raramente si interrompe. Un percorso psicoterapeutico rappresenta senza dubbio un validissimo aiuto nello spezzare questa catena, in particolare aiutando il genitore ad acquisire consapevolezza delle dinamiche proiettive e manipolative passate ed eventualmente presenti.

 

Dottoressa Ester Di Rosa