Con il passare degli anni ci confrontiamo quotidianamente con nefandezze di ogni genere. Ormai non c'è limite alla violazione della decenza, margine al trasbordo dell'inciviltà e della violenza in un mondo che conosce e venera un solo dio: il denaro. La storia, per chi vuole approfondirla con obiettività, ci insegna che le peggiori atrocità sono state compiute in nome di un credo religioso, nascondendo bramosie di potere e deliri megalomani dietro pacifiche parole di testi sacri. Due conflitti mondiali non sono bastati ad insegnare all'essere umano la lezione più importante: in una guerra nessuno vince realmente ma tutti pagano un prezzo altissimo. Per non parlare delle violenze perpetrate ai danni di bambini, anziani e disabili anche tra le mura di edifici religiosi, nosocomi , case di riposo. Giovanissimi privati del candore che caratterizza un periodo unico dell'esistenza, usati come "pezzi da ricambio" per il trapianto di organi, venduti al miglior offerente in mercati umani sparsi ovunque sul pianeta. Dinanzi a tale sfacelo come non credere che la morte sia solo un passaggio ad una realtà migliore, la trasformazione dell'energia biologica che ci tiene in vita in qualcosa di più nobile, pulito, incorruttibile. La Fede in questo costituisce un valido deterrente all'alienazione che l'individuo subisce nel corso del tempo, continuamente bersagliato da ingiustizie e soprusi. I potenti, come diceva il principe Antonio De Curtis, i cosiddetti "caporali", hanno tutti la stessa faccia, espressione, sguardo, mimica.

Si muovono come se tutto gli fosse dovuto nell'assurda convinzione che il prossimo rappresenti solo una risorsa da sfruttare fino all'esaurimento. Non esiste paradiso o inferno per loro, sono solo favolette a cui possono credere ingenui e falliti. Una volta chiusi gli occhi tutto finisce: quindi perché arroventarsi in congetture morali, perdere tempo a rincorrere stati di grazia frutto solo della fervida immaginazione di altri uomini. La vita per queste persone è "essere", la morte "non essere", semplicemente il nulla. Di conseguenza sarebbe folle investire nel nulla. Se ragionassimo tutti così ci saremmo già estinti da un pezzo in un continuo conflitto per la supremazia assoluta sulla specie.

Sulla morte potremmo citare filosofi, atei, scienziati, artisti e pubblicare un'enciclopedia tanto sono diverse le posizioni in merito: tuttavia crediamo che il solo fatto di porsi il problema "è giusto/sbagliato" tradisca una predisposizione genetica ad una sorta di giudizio che ci attende dopo questo percorso terreno, un'energia a cui dare conto talmente potente da essere inimmaginabile. Quali siano i criteri di valutazione o quale l'entità delle punizioni che ci attendono è impossibile quantificarlo: ci rincuora però l'idea che alla monotonia della vita terrena l'essere umano abbia sempre contrapposto un percorso eterno inteso quale premio per chi avrà mostrato, alla fine, "buon senso" sulla Terra. 

 

Alfonso Maria Liguori

 

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